Oggi avrei voluto scrivere sul Brasile, ma un articolo di Internazionale dal titolo Karl Marx aveva ragione mi ha fatto cambiare idea.
E’ stato come un breve viaggio nel tempo. Sono tornato per un attimo a quando preparavo gli ultimi esami della triennale a Trieste, nello specifico l’esame di filosofia politica, dove portai come testi a scelta Il Capitale di Marx e il Mein Kampf di Hitler, a confronto. Era il 2010.
Dalla lettura di questo articolo, segue una breve riflessione personale.
Il mercato non si regola da solo, anzi. Il mercato abbandonato a sé stesso ha dimostrato tutta la sua intrinseca fragilità, già con la crisi del 2008.
Arriva la pandemia nel 2020, poi la guerra alle porte dell’Europa. Gli equilibri che pensavamo fossero immutabili, vengono distrutti in poco tempo. Non solo quelli internazionali, ma anche la nostra quotidianità: lavoro da casa, licenziamenti di massa, crisi della supply chain globale, per citarne alcuni.
Il profitto, l’economia, la finanza… insomma il capitale, se per secoli ha dominato le agende della politica, della geopolitica, delle aziende, oggi deve fare i conti con un mondo che cambia molto velocemente. Un mondo interconnesso, dove l’accesso all’informazione è per certi versi molto più semplice, dove le nuove generazioni crescono con valori molto diversi da quelli che ci hanno portato al collasso economico, sociale ed ambietale di cui siamo testimoni. Soprattutto deve fare i conti con una forza estremamente più grande: il cambiamento climatico innescato dall’attività antropica.
Su certi equilibri climatici si sono basati secoli di commerci e relazioni. Il mondo come lo conoscevamo sta cambiando ad un ritmo inaspettatamente accelerato. Non credevo avrei visto con i miei occhi le conseguenze del cambiamento climatico prima dei 45 anni. Sono in anticipo di 11 anni, secondo il mio orologio climatico da profano.
Cosa sta cambiando:
- la disponibilità di acqua (ce ne siamo accorti durante l’estate 2022 e durante il presente inverno): non piove più come prima
- il livello del mare: lo scioglimento dei ghiacciai artici (inarrestabile e in atto da decenni) sta lentamente ed inesorabilmente causando un aumento del livello del mare, anno dopo anno
- fenomeni metereologici estremi sempre più frequenti (inondazioni, incendi, tempeste di neve)
Solo per citare le conseguenze più evidenti.
Tutto questo incide brutalmente sulla nostra quotidianità: disponibilità di cibo, acqua, mobilità… per citare i problemi che potrebbero interessarci per primi. Più grave, più in là nel tempo troviamo la desertificazione, la fame e la morte.
La fame praticamente infinita di risorse naturali che il capitale ha sempre avuto, non potrà essere saziata come è stato fatto fino ad oggi. Più capitalismo e globalizzazione sono andati avanti insieme, meno il “benessere” si è diffuso. Le condizioni di vita della popolazione mondiale si sono costantemente radicalizzate con un andamento a forbice: i ricchi sono sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri. La fantomantica “classe media” annaspa aggrappandosi sanguinante alle lame di questa forbice, nel mezzo.
Per troppo tempo abbiamo ignorato gli avvertimenti della comunità scientifica, in primis l’avvertimento del Club di Roma nel 1972 reso noto con lo studio – I limiti dello sviluppo -. Sono passati 50 |CINQUANTA!| anni durante i quali ha dominato incontrastato il mito culturale della crescita.
Sembra facile dirlo, difficile pensarlo ed impossibile solo il primo passo per la sua realizzazione ma… per un cambiamento vero e proprio del sistema che sta devastando ambiente e società è necessario, è indispensabile un cambiamento radicale di punto di vista. L’obiettivo dell’economia non può più essere la mera crescita costante ad ogni costo. L’obiettivo dev’essere di lungo, lunghissimo periodo.
L’attenzione va spostata sulle persone: partendo dal lavoro: contratti dignitosi, promozione di uno stile di vita sano, ambiente lavorativo stimolante; e di conseguenza sulla società e sull’ambiente. Queste devono diventare la priorità assolute di ogni frangente del sistema politico ed economico. In mancanza di questo cambio di paradigma, il futuro è già scritto. E sarà un futuro costellato di conflitti a tutti i livelli e su tutti i fronti. Sarà un futuro fatto di muri, di armi, di odio e violenza.
Sono sicuro che non è il futuro che vogliamo.
Un sistema che per secoli ha promosso lo sfruttamento (ambientale ed umano), il dominio, devastato risorse ed ecosistemi, schiavizzato intere civiltà, non può sopravvivere. Il mondo ha bisogno di lungimiranza, di consapevolezza, di visione, di cuore appunto. Di equità, di rispetto, di ascolto.
Questo è il futuro che vorrei.
Per fare questo sarà sufficiente la consapevolezza? Non credo. Qualcosa sta cambiando, ma abbiamo un altro grande nemico da battere: il tempo. Non ne abbiamo più molto. E ogni giorno che passa, ogni Summit sul clima inconcludente o assurdo, ne perdiamo ancora di più. E perdiamo possibilità.
Non dimentichiamoci che la benzina del capitale è il consumo. Il potere (molto più di quanto pensiamo) è nelle nostre mani. La scelta degli ingredienti della nostra cena può fare la differenza.
Il futuro dev’essere fatto dalle persone per le persone. In un’ottica inclusiva, nonviolenta, di lungo periodo. Io ci credo.