Crisi in Ecuador

Quito, la capitale dell’Ecuador

Breve descrizione di un paese travolto dall’ennesima crisi, questa volta sanitaria, causata dalla pandemia di coronavirus. Un paese dove il lavoro informale la fa da padrone, dove la sanità di qualità è per pochi e dove le popolazioni indigene vengono abbandonate a sè stesse

La crisi sanitaria in Ecuador è grave

L’Ecuador ha una superficie di 283.561 km2 (molto simile all’Italia) e una popolazione di 16.866.664 abitanti.

La provincia più colpita dall’emergenza è quella di Guayas, sulla costa pacifica, la cui capitale è Guayaquil (3.700.000 abitanti).

Qui sono stati registrati il 70% dei casi coronavirus del paese.

Il clima in questa zona è caldo durante tutto l’anno: la capitale Guayaquil ha una temperatura media annuale di 26,5°C.

“I numeri”

Il dato di cui si è parlato molto negli ultimi giorni è il seguente: nella provincia di Guayas sono stati registrati 6700 morti nelle prime due settimane di aprile, contro i 1000 registrati normalmente.

L’ultima notizia è di poche ore fa: sembra che il numero dei casi di coronavirus in tutto l’Ecuador sia raddoppiato passando da 11.183 a 22.160, con i risultati degli ultimi dei test. La dichiarazione è stata fatta dal Ministro della Salute dell’Ecuador Juan Carlos Zevallos.

Bisogna fare molta attenzione con i numeri. I dati ufficiali non sono totalmente affidabili: scarseggiano le prove per il virus e il test viene solo fatto a persone con sintomi gravi e non a tappeto.

Non si sa precisamente quanti siano i contagiati né quante delle vittime delle ultime settimane siano effettivamente morte per complicazioni dovute al coronavirus.

Le province più colpite

Proprio di Guayaquil erano la immagini di corpi avvolti in sacchi di plastica e bruciati sulle strade. Il sistema funerario locale è stato travolto dalle richieste di inumazione e dall’incapacità di rispondervi. La gente è stata costretta tenere i propri morti in casa, oppure a lasciarli sul marciapiede per paura del contagio o per i forti odori di putrefazione.

In rosso le due province più colpite: Guayas e Pichincha

In Ecuador vige il coprifuoco dalle 14:00 alle 5:00. Si può circolare fuori dal proprio comune solo con particolari permessi abbastanza difficili da ottenere. Gli spostamenti in città sono permessi solo ad una persona per nucleo familiare e solo per comprovate necessità.

Nella capitale Quito, provincia del Pichincha a 2.850 metri sul livello del mare e 2.239.191 abitanti, si parla negli ultimi giorni di trasmissione esplosiva e comunitaria” del contagio a causa delle moltissime persone che hanno violato il coprifuoco.

La situazione del lavoro informale

Come nella maggior parte dei paesi dell’America Latina, la popolazione che si sostenta con il lavoro informale (venditori e produttori di cibo ambulanti nella maggioranza dei casi), non può restare in casa.

La scelta è fra morire per le conseguenze del virus o morire di fame.

Non c’è possibilità di scelta.

Sanità e misure igieniche

In Ecuador il sistema sanitario è molto simile a quello degli Stati Uniti: in base alla copertura assicurativa che ci si può permettere, si può accedere (oppure no) a un’assistenza sanitaria più o meno adeguata. Moltissime persone si affidano infatti alla sanità pubblica, che non brilla per efficienza e risorse a disposizione.

Una delle principali norme per evitare la diffusione del contagio è quella di lavarsi spesso le mani. Questo presuppone che si abbiano a disposizione acqua corrente non contaminata e sapone. Situazione non comune già in alcuni quartieri delle grandi capitali sudamericane e ancora meno man mano che ci si allontana dai centri abitati.

La situazione delle popolazoini indigene

In questo complicato contesto, le popolazioni indigene stanno cercando di difendersi dal contagio come possono: isolandosi. Chi è riuscito a tornare nella propria comunità prima della chiusura delle vie di comunicazione, si è potuto mettere in salvo.

Questa situazione ricorda paurosamente la decimazione della popolazione autoctona avvenuta con l’invasione coloniale e la conseguente diffusione di malattie aliene contro le quali i nativi non avevano anticorpi.

Ed è purtroppo questo il possibile epilogo se l’isolamento non dovesse funzionare. Le popolazioni indigene si trovano in una situazione di abbandono da parte stati nazionali: lasciate senza servizi, senza copertura sanitaria, senza educazione.

Il virus sta assumendo sempre più le sembianze di un boia pronto a decapitare un paese e un continente già flagellati da crisi politiche, economiche, ambientali e sociali.

Piove sempre sul bagnato.

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