Cosa sta succedendo in Ecuador – ottobre 2019

Dal 3 ottobre l’Ecuador si trova in una situazione critica, con proteste e manifestazioni in tutto lo Stato. 

A scatenare tutto ciò, la manovra economica del presidente Lenin Moreno soprannominata “paquetazo” dai manifestanti. La manovra, approvata per ricevere 4 miliardi di dollari di aiuti dall’FMI, prevede una serie di riforme molto pesanti soprattutto per la popolazione ecuadoriana che già si trova in situazioni critiche di povertà.

Fra i diversi aggiustamenti economici, quello che più di tutto ha incendiato gli animi dell’Ecuador è stata l’abolizione dei sussidi ai carburanti (decreto 883) che erano in vigore dagli anni Settanta. Dal giorno alla notte il prezzo del combustibile è fortemente aumentato (+ 20% per la benzina e + 123% del diesel). Questa manovra, più che far risparmiare allo Stato, mette in ginocchio tutta quella fetta di popolazione ecuadoriana che già prima della riforma si trovava in grandi difficoltà, prime fra tutte le comunità indigene residenti nelle aree più remote del paese.

Lo sciopero nazionale è iniziato con gli autotrasportatori, ritiratisi dopo l’accordo raggiunto per l’aumento delle tariffe dei trasporti. Chi manifesta in Ecuador oggi sono principalmente movimenti studenteschi e organizzazioni indigene come la Conaie (Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador), che optano per una manifestazione pacifica ad oltranza, finché non verrà abolito il decreto 883.

La Conaie negli anni 1997, 2000 e 2005 riuscì a far dimettere tre Presidenti ecuadoriani mobilitando migliaia di persone per marciare a Quito. Quella che si vede in questi giorni è la mobilitazione più grande degli ultimi anni.

Come in ogni manifestazione ci sono violenze, atti vandalici e crimini, che vengono fermamente respinti e condannati dai portavoce delle manifestazioni. Quito si trova in una situazione critica, trasformata letteralmente in un campo di battaglia. Il centro storico è distrutto.

Lo Stato ecuadoriano sta rispondendo con una violenza brutale soprattutto nella capitale. Esercito e polizia lanciano fumogeni e proiettili di gomma indiscriminatamente contro i manifestanti. L’università Cattolica, la Salesiana e la Casa della Cultura Ecuadoriana di Quito sono state trasformate in centri di accoglienza e rifugio dove volontari forniscono assistenza ai manifestanti. Centri di accoglienza che sono stati oggetto di attacchi da parte della forza pubblica.

 

Il Presidente Lenín Moreno ha dichiarato lo stato di emergenza per 60 giorni. Il Governo è stato spostato nella città costiera di Guayaquil. Dopo 10 giorni di proteste, la situazione non accenna a migliorare: ieri è stato indetto un coprifuoco (a tempo indeterminato) nella città di Quito dalle ore 15:00, e la militarizzazione della capitale ecuadoriana.

Secondo la Defensoría del Pueblo, i numeri delle proteste in Ecuador (al 12.10.2019), sono i seguenti: 937 feriti, 6 morti e 1121 arrestati.

Come in ogni crisi, è difficile conoscere le esatte cause e conseguenze di una determinata situazione. Soprattutto, è praticamente impossibile identificare quanti e quali siano i veri attori in gioco e quali siano seriamente impegnati nella ricerca di un dialogo e dell’equilibrio, contro chi invece solo cerca di creare caos e destabilizzazione.

Oggi alle 15:00 ora locale (le 22:00 in Italia), verrà aperto uno spazio di dialogo tra il Governo, i manifestanti, la Conferenza Episcopale Ecuadoriana e le Nazioni Unite.

Una cosa sento di poterla affermare: quella che si vede oggi in Ecuador non è la risposta di uno Stato civile ma una piena violazione dei diritti umani del popolo ecuadoriano. La violenza e la repressione non sono mai la risposta.

La violenza porta solo ad altra violenza, alla paura, alla morte.

Los indígenas ecuatorianos non hanno paura.

 

Fonti: Conaie; Il PostManiteseEl ComercioEl EspectadorUdapt.