Popoli indigeni, Amazzonia e pandemie

Fonti principali: Nazioni Unite (UN), UNDP, UNESCO, WWF, TPI, L’AMERICA LATINA

Per alcuni popoli dell’America Latina e non solo, la pandemia di Coronavirus ricorda qualcosa di passato ma tragicamente attuale: virus e batteri alieni responsabili della decimazione delle popolazioni native, evento di tragica memoria coloniale.

Il virus ha colpito duramente tutto il mondo, costringendolo a fermarsi per settimane. Nella nostra quotidianità caratterizzata dalla velocità, l’obbligo di”fermarsi” sembra anacronistico. Questo è quello che è successo. Nessuno si aspettava un’emergenza simile, ed è chiaro che alcuni Stati si sono trovati meno preparati di altri di fronte all’emergenza sanitaria in corso per diverse ragioni, soprattutto strutturali.

Il virus, oltre a mietere migliaia di vittime, ha aumentato il divario fra chi “può” e chi “non può”, fra chi “ha” e chi “non ha”.

Chi può permettersi di lavorare da casa, chi può permettersi un frigo con del cibo, un tetto, un ambiente domestico salubre, l’elettricità, l’acqua corrente… Chi invece si trovava già in condizioni precarie per le ragioni più disparate: etnia, religione, genere, occupazione (informale)… ha pagato, sta pagando e pagherà il prezzo più alto: disoccupazione, fame, malattia, morte.

Le poche certezze che abbiamo si fermano qui

Non sappiamo quali saranno le conseguenze a medio-lungo termine di questa condizione: a livello economico, sociale, psicologico… e chissà su quanti altri aspetti della vita che oggi sottovalutiamo. Le stime, le percentuali e le ipotesi sono innumerevoli ma la realtà è che si sa ancora poco di tutto questo. E soprattutto di quello che sarà il mondo dopo il 2020.

Questo post nasce per cercare di spiegare un po’ meglio cosa si intende per popolo indigeno e per capire perché queste etnie sono fra le più colpite dall’emergenza sanitaria globale e perché è fondamentale che vengano tutelate.

Perché l’Amazzonia? Perché è un ecosistema unico, in gravissimo pericolo, dove risiedono molti popoli ancestrali, alcuni tutt’ora non contattati.

Alcune definizioni

Popolazioni indigene

Esistono delle controversie relativamente ad una definizione di popolazione indigena, per questo il sistema delle Nazioni Unite adotta alcuni criteri per l’identificazione di un gruppo come indigeno (traduzione propria da documento UN):

  • auto-identificazione come popolo indigeno
  • continuità storica con le società pre-coloniali
  • stretta connessione con il territorio e con le risorse naturali
  • differente sistema sociale, politico ed economico
  • linguaggio, cultura e sistema di credenze distinti
  • parte di un gruppo non dominante della società
  • impegnato nella riproduzione e nel mantenimento dell’ambiente e dei sistemi ancestrali (come popolo e società differenti)

Solo in America Latina vivono più di 800 popoli nativi

La risposta della maggior parte delle popolazioni indigene alla pandemia, è stata quella dell’isolamento volontario spesso in anticipo rispetto ai governi nazionali. Sono anche state attivate una serie di iniziative di aiuto alimentare a zone critiche delle aree urbane, dimenticate dai governi.

Alla criticità della pandemia, si aggiunge spesso la maggiore libertà d’azione alimentata dalla scusa della ripresa economica di alcuni settori, in particolare quello estrattivo. È diventato infatti più facile minacciare, vessare ed eliminare chi difende la propria terra e le proprie risorse, nel “deserto” (umanitario, politico, economico) della pandemia. Perché l’America Latina è Terra, è risorse, è quello che “noi” non abbiamo ma di cui abbiamo estremamete bisogno. Su questa Terra vivono i popoli indigeni. La Terra si trasforma drammaticamente da strettissimo ed indispensabile legame spirituale e culturale con gli antenati, con la natura stessa, con le proprie radici, a condanna a morte. Ed è qui che inizia l’interminabile lotta per la vita, per la dignità, di milioni persone.

[…] è evidente che il coronavirus è il sintomo di un’altra malattia chiamata diseguaglianza

Lolita Chaverz, portavoce del Consiglio dei Popoli Maya Ki’che’

Amazzonia

La parte evidenziata in azzurro rappresenta il confine della foresta Amazzonica

L’Amazzonia rappresenta una delle aree del pianeta con la maggiore biodiversità1 e con un ecosistema tanto fragile quanto fondamentale che funge, tra le altre cose, da importante carbon sink2 oltre ad essere tutt’oggi la dimora di molte popolazioni ancestrali fra cui: Siona, Kichwa, Cofán, Shuar, Muruy, Secoya e molte altre (WWF).

Con la sua estensione di 6,7 milioni di km quadrati, la foresta Amazzonica abbraccia 9 stati sudamericani: Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Guyana Francese, Perù, Suriname e Venezuela (WWF).

Sono ancora presenti in Amazzonia popolazioni indigene non contattate di cui si conosce molto poco, che si mantengono in isolamento volontario.

Alcuni dati

Perché è fondamentale che le popolazioni indigene di tutto il mondo vengano rispettate e i loro territori salvaguardati e ampliati?

Ingenous communities’ contribution to fighting climate change are far greater than previously thought. Their forestlands store at least one quarter of all above-ground tropical forest carbon – about 55 trillion metric tonnes.

UNDP

La distruzione dell’Amazzonia, disboscandola per fare spazio a coltivazioni, ad allevamenti e per l’estrazione di risorse naturali, non rappresenta solo una violazione dei diritti umani di chi ci vive, ma anche un crimine contro l’ecosistema globale e contro la battaglia al cambiamento climatico in corso: la citazione evidenzia che le terre dove risiedono le popolazioni indigene, fungono da importante serbatoio del carbonio (CO2).

Note

1 Biodiversità: la biodiversità è stata definita dalla Convenzione sulla diversità biologica (CBD) come la variabilità di tutti gli organismi viventi inclusi negli ecosistemi acquatici, terrestri e marini e nei complessi ecologici di cui essi sono parte. Le interazioni tra gli organismi viventi e l’ambiente fisico danno luogo a relazioni funzionali che caratterizzano i diversi ecosistemi garantendo la loro resilienza, il loro mantenimento in un buono stato di conservazione e la fornitura dei cosiddetti servizi ecosistemici.

2 Carbon sink: l’UNFCCC (United Nation Framework Convention on Climate Change – Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici) definisce carbon sink come “come qualsiasi processo, attività o meccanismo per rimuovere gas ad effetto serra, aerosol o un precursore di gas serra dall’atmosfera. Sink di carbonio (carbon sink) sono quindi attività, processi, o meccanismi di rimozione (e sequestro) di biossido di carbonio CO2 dall’atmosfera”.

3 Servizi Ecosistemici: la nostra prosperità economica e il nostro benessere dipendono dal buono stato del capitale naturale, compresi gli ecosistemi che forniscono beni e servizi essenziali: terreni fertili, mari produttivi, acque potabili, aria pura, impollinazione, prevenzione delle alluvioni, regolazione del clima, ecc.
La perdita di biodiversità può indebolire un ecosistema, compromettendo la fornitura di tali servizi ecosistemici. Il ripristino degli ecosistemi degradati è spesso costoso e, in alcuni casi, i cambiamenti possono diventare irreversibili. Nel 2005 il Millennium Ecosystem Assessment ha classificato i servizi ecosistemici in quattro in gruppi funzionali: di fornitura, cioè prodotti ottenuti dagli ecosistemi quali cibo, acqua pura, fibre, combustibile, medicine; di regolazione, in quanto i benefici sono ottenuti dalla regolazione di processi ecosistemici ad esempio in relazione al clima, al regime delle acque, all’azione di agenti patogeni; culturali, intesi come l’insieme dei benefici non materiali ottenuti dagli ecosistemi come il senso spirituale, etico, ricreativo, estetico, le relazioni sociali; di supporto, in cui rientrano i servizi necessari per la produzione di tutti gli altri servizi ecosistemici come la formazione del suolo, il ciclo dei nutrienti e la produzione primaria di biomassa.
Per molti di questi servizi il valore economico non è contabilizzato sul mercato e, di conseguenza, sono eccessivamente utilizzati o inquinati.